“Io, Ibra”: la mia opinione
Bentornati tra i miei angoli smussati.
“Io, Ibra”: non è solo un libro ma una lezione di vita.
Una lezione che senti scorrere sulla pelle, che ti entra dentro, che ti divora l’anima e quando riemergi dalla lettura ti senti diverso. Più forte, forse. Di sicuro intenzionato a dare il massimo. Perché è in questo modo che Ibrahimovic è diventato uno dei calciatori più forti in assoluto: con determinazione, coraggio, con la voglia di non mollare. Con una mentalità vincente.
E con questa mentalità anche un semplice allenamento diventa la più importante delle sfide, perché se non dai tutto quando ti alleni non puoi pretendere di fornire una prestazione degna di nota durante la partita di campionato o di Champions League.
È così. Qualunque sia la nostra passione, qualunque sia il nostro lavoro dobbiamo dare il massimo. Per sentirci migliori, per poterci guardare allo specchio con soddisfazione. Per non tradire noi stessi. Per vivere di rimorsi, forse, ma mai di rimpianti.
La prima domanda che mi sono posto dopo avere terminato questa audiolettura è stata: fenomeni si nasce o si diventa?
Si diventa, mi verrebbe da rispondere ripensando alla storia dell’attaccante svedese. Perché gli uomini di spessore lavorano sodo e quando incappano in una sconfitta si chiedono dove hanno sbagliato, e lavorano con maggiore determinazione per trasformare quella sconfitta in una vittoria. Non cercano allibi, non danno la colpa ad altri per i loro insuccessi, non imprecano contro un destino avverso.
I veri campioni sanno che un traguardo tagliato non è altro che un nuovo punto di partenza. Scalata una montagna non si accontentano, e ne cercano subito un’altra da affrontare. Perché gli stimoli sono un nutrimento costante. Per la mente, per il corpo, per stuzzicare la curiosità… per migliorare.
La storia di Zlatan Ibrahimovic è un esempio positivo, da incidere nella mente; una vita difficile in cui sentirsi rifiutato era una costante, ma che a poco a poco si è trasformata nella favola più bella, grazie, anche, all’incontro col mentore (e chi ha studiato Il viaggio dell’eroe sa di cosa parlo): Mino Raiola.
La seconda domanda che mi sono posto è stata: Zlatan sarebbe diventato quello che è diventato senza il suo mentore?
Nessuno può saperlo, nemmeno i diretti interessati, ma, quello che è certo, è che senza una persona di fiducia è difficile, forse impossibile, riuscire a scalare la montagna e raggiungere la cima. Perché la caparbietà è importante, ma dopo avere raggiunto una determinata altezza non è più sufficiente e serve altro. Per fare l’ultimo scatto, quello più faticoso, occorre essere guidati da qualcuno di esperto; qualcuno in cui riporre la nostra fiducia. Figure collaterali che col tempo saranno in grado di ritagliarsi uno spazio importante nella nostra vita.
Zlatan è legato alla sua famiglia – la moglie Helena è la sua musa e i figli sono il suo orgoglio –, ma anche ad alcuni allenatori come Capello e Mourinho che sono diventati punti di riferimento perché hanno saputo stimolarlo nel modo giusto. E si sono trasformati in altri piccoli mentori che insieme al mentore principale (Mino Raiola) hanno aiutato il campione svedese a raggiungere la tanto sospirata e desiderata cima.
Una cima sulla quale ha trovato una scritta: era una fiaba e io ero Zlatan Ibrahimovic.
E voi lo avete letto? Cosa ne pensate? Scrivetelo nei commenti.
Un caro saluto smussatori di angoli.
(Immagini scaricate gratuitamente da Pixabay.com)
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